Intermezzo di Edoardo Alamaro
L’arte a portata di mano. Mano d’artigiano, ovviamente
“Maestro, lei era consapevole che quando girava ‘Una giornata particolare’, stava facendo un capolavoro?”. Ettore Scola così rispose: “No, sapevo solo che stavo facendo un lavoro!” Proprio così, senza lavoro non escono i capo-lavoro. Alla Biennale, Triennale, Quadriennale o Annuale che sia. Senza un paziente “imparaticcio” nun esce ‘nu saciccio! Senza artigianato non c’è arte praticabile. Qui il punto, qui l’intermezzo. Scrive Lpp: “Gli artisti d’oggi sono almeno di un lustro più avanti degli architetti. … anche perché tra l’ideazione e l’esecuzione di un’opera d’arte passano meno anni rispetto a quelli richiesti da un edificio”. Così conclude: “Cosa accadrà nel 2016?” E chi lo sa!? Io non lo so, non sono un mago. Ma so che cosa succede ora, nel 2011. Nel passaggio tra l’ideazione e l’esecuzione di un’opera d’arte. Fatta ad arte pubblica. Un esempio, prego. Seguiteci, a vostro rischio e pericolo. Continuazione facoltativa, solo per nullafacenti e perditempo doc.
Ore 11 di lunedì scorso. Ciak si gira l’intermezzo. Sto in un bar a via Depretis, a Napoli. “Si, mettiamoci in fondo, seduti a quel tavolino. Lì non ci disturberanno. Ho spento anche il cellulare: un’ora per te, promesso”.
Amici miei, sono qui per voi. Solo per voi. Ma anche per il piacere di incontrare un amico. E per conoscere meglio la sua storia, che mi interessa. Spero che interessi anche voi. Il nostro “intervistato speciale” è parte del centrillo storico di Napoli. Pietre e sangue, ragione e (com)passione. Contenitori antichi, contenuti futuri. Il restauro del (con)centrato storico Unesco-Napoli parte dall’irrinunciabile recupero di questi uomini (e donne). Da queste memorie di produzioni. Da queste storie di vita minori. Ma non minorate.
Sono infatti in compagnia di un artigiano che lavora con & per gli artisti. Con & per architetti. Con & per l’artidesign. Si dichiara loro “complice”. Io lo sfotto e lo chiamo da sempre affettuosamente “l’Artigiano”. Quello che si deve piegare a tutti i voleri e goderi dell’architetto, dell’artista e dell’artidesigner. “Ma non mi piego a 90°”, precisa. E ride. (“Mi piego ma non m’impiego (all’arte)”, nda).
Ve lo presento, è un tipo simpatico, giovane, innovativo, coraggioso. E transatlantico, vi spiego il perchè. Ecco la scheda del nostro attore unico.
Nome: Corrado. Cognome: Tamborra. Anno e luogo di nascita, Napoli, 1956. Professione: Lavorazione dei metalli; prototipi per designer; torneria meccanica d’arte. Luogo d’esercizio: Napoli, Rua Catalana (altrimenti detta Dalisopolis, nda). Situazione familiare: una moglie, due figlie e una vita d’amore penetrante e palpitante. Formazione di base (per altezza) cattolica plus. Tanto che da ragazzo voleva farsi prete, in Argentina, dai Padri Salesiani. Poi ci ha ripensato. A 3 anni era stato trapiantato nel Nuovo Mundo da suo padre Ugo, gran tornitore meccanico alla Fiat Grandi Motori di Buenos Aires. Ora è morto, ma è stato Lui il fondatore della ditta.
Ugo Tamborra, il defunto, era un tipo silenzioso, ponderato, calibrato, tipico dell’altra Napoli. Quella no-folk dell’artigianato di precisione. Dell’armonia non sperduta. Assoluto artefice con mani pensanti napoletane. Miracolose e razionali, se vuole. Nella metallurgia il tornitore è infatti il matematico, l’ingegnere. Fa cose ‘e pazzi! ‘O sole mio d’architettura sta nelle tue mani artigiane!
Il Nuovo mondo è bello e grande, ma Napoli è sempre Napoli. ‘A Nustalgia, Maria, Mari e tutto il resto che “stà ‘nfronte a tte” determinarono il dietrofront. Tamburini, tamburriati, triccaballacche: simme ‘e Napule paisà, si riparte!!!
La famiglia Tamborra ritorna così dall’Argentina a Spartenope, dopo 10 anni d’emigrazione, nel 1967. Il capofamiglia Ugo apre un’officina di “Meccanica di precisione” nel centro paràstorico napulitano. Una bottega, un piccolo spazio a Rua Catalana 105, strada nota per le lavorazioni metalliche. La rua sta proprio di fronte alla possente Questura, ma è sottoposta al livello stradale principale. Ci devi andare apposta. E’ tagliata fuori dai flussi di traffico, una periferia urbana centrale. Cosa che ha i suoi pro e i suoi contro. Qui il punto: chi lavora pro e chi contro?
Col tempo molto s’è perso per la via, per la Rua. Recentemente sono sparite anche le rivendite, i grossisti di materie prime dei metalli, … tutto svuotato, molti andati via … SOS centrillo storico Napule. Ma all’epoca, nel 1969, c’era ancora in piedi l’industria e l’Olivetti a Pozzuoli, Donnarumma all’assalto!! Anche la Rua catalana di Napoli ne era in qualche modo partecipe, per riflesso benefico. C’era spazio per il sogno industriale: Napule, vele & va!!
L’officina Tamborra nasce nel 1969-70 su quella linea di sogno tardo-industriale. E così, naturalmente, inizia la collaborazione con gli artisti. Con un certo tipo di artisti napoletani, quelli sperimentali. Quelli “di testa”, concettuali, che privilegiavano nuovi materiali. Anche il pensiero per loro è materia! E’ un materiale artigiano. C’era molta energia e speranza in loro. E una convinzione: l’artistico-industriale se po’ ffa a Napule!!!
Il primo artista che fece capolinea in bottega fu Luigi Pezzato, bravo e sfortunato, oggi del tutto dimenticato, ahinoi!. Era il 1972 - 73. Il Pezzato radicale (pre Agricolart anni ‘80) fece fare una innovazione all’officina Tamborra: per le sue macchine girevoli optical (più interessanti di quelle di Mario Persico) propose di tornire il plexiglas, cosa mai fatta da loro. Fu un successo, una sorpresa anche per Ugo, ex operaio specializzato Fiat grandi motori d’Argentina.
Poi venne in bottega Quintino Scolavino; indi il grande Carlo Alfano, … via via si sparse la voce e si affacciarono gli architetti per modelli plastici di plexiglas e metallo. La balsa andava in pensione e si cercavano altri materiali espressivi. Il primo architetto targato Tamborra fu Paola Pozzi con la sua tesi di laurea, nel 1973; poi Renato Bozzaotra; quindi Aldo Loris Rossi e la “Civiltà del ‘700”, allestimento mostra, 1979 … poi Cappelli & Ranzo, … Peppe D’Amore, Renata Petti, Riccardo Dalisi e tanti altri. Tantissimi altri, un punto di riferimento certo e certificato doc. Rigorosamente a pagamento (cortesia a tutti, credito a nessuno!!!) nella dura Rua dell’arte di progetto. Anche le imprese vennero via via in bottega (la Soveto di Azzi, ad esempio). E poi i musei, le soprintendenze, gli uffici tecnici; i Madre e le Matrigne, le Vedove e gli orfani tutti: tutta Napule!
Corrado Tamborra è quindi legittimo figlio d’arte applicata al tornio. Ma non è stato facile. Ha imparato di nascosto, quando il padre la sera non c’era. Quando levava mano d’artigiano. Qui la cosa si fa un po’ patetica, da libro Cuore napulitano. Ma effettivamente il passaggio tamborriato padre-figlio non è stato facile. “Utile mi fu un libro. Si chiamava “Passaggi”. Te le devo far vedere”, dice ora il nostro attore principale (“recita bene, con la voce giusta, ruffiana”, mi raccomando all’attore, ndr/egista).
Corrado si appassionò così al tornio, nottetempo. Furtivamente. Rubava, alla lettera, il mestiere al padre Ugo. E anche il posto-guida in officina. La sua non era una passione per la macchina-tornio in sé. Quella che gira su se stessa, per conto suo. Autocentrata per far soldi. No, il suo non era un mestiere. Per lui testa e tornio coincidevano. Dovevano coincidere caparbiamente. Mise le sue cervella sul tornio, dentro quella macchina girevole. Girevollen. Tornio che diventò così uno strumento docile e ragionevole per far altro. Per gli altri, in sinergia con gli altri. Arti/Giano a due facce, tradizione e innovazione d’arte, pensare e fare. (E talvolta fottere l’artista presuntuoso, che goduria, nda).
Per queste complesse sue rue, Corrado Tamborra è diventato un apprezzato prototipista. Un proto-logista, un apripista, un fantasista. ll prototipo di un artigianato-domani. Futuro e futuribile, nella Napoli regola & caso, punto e a capo. Molto lontana da … Qui il film si interrompe. “Ma ch’è successo?”, chiedo al montatore che monta sempre. Risposta: “Lasciammo perdere per il momento: nun faccimmo polemiche cu Totocchio … con Dalisi, … che ce ne fotte … ”, mi dicono. E io riporto.
Stop. Grande frenata, grande taglio al film, al nostro racconto … la storia di Corrado Tamborra, new artigiano napolitano, complice nel delitto & diletto d’arte, è lunga … e l’Intermezzo è corto. Veniamo ai nostri giorni. Lo chiama la Metropolitana/Napoli Spa, linea 1 dell’arte. Hanno già collaborato insieme per “fare” le opere gli artisti Natalino Zullo e Quintino Scola/vino, molto vino. Cin cin, alla salute!, soddisfatti o rimborsati da Corrado. E lo hanno riconfermato, felici e contenti. L’arte è a portata di mano … dell’artigiano, come da slogan (corretto, nda).
Gli fanno vedere la “Sinapsi” di Karim Rashid per la nuova stazione Università. Gli mostrano il rendering dell’artista e i disegni di massima degli interni, progetto Atelier Mendini di Milano. Tutto ecodesign politicamente corretto e super tecnologizzato. Con sistema di stampa lenticolare per la realizzazione delle pareti. Con effetti e affetti d’animazione, variazioni di colore e tridimensionalità. Per un’arte metropolltana ego-sostenibile ed ecco-compatibile. Bio e pio deragliatile nella metropolitana d’arte. In tutta questa effervescenza by Mendiniland, la scultura di Rashid è però il perno principale visivo. Bisognava rendere concreto il rendering; s’adda fa ‘a Sinapsi, … ma l’archi-artista sta a New York. Domanda: “Come realizzarla a distanza?” “Se po’ ffà”, assicura il Tamborra artigiano. (E sana-mente “artigliano”: come graffia, che unghie, che giaguaro!, nda).
I paletti della richiesta dicono che: uno, non si devono vedere le giunture del pezzo; due, tutta la Sinapsi deve essere perfettamente lucida. L’opera è di medie proporzioni: 290 cm di max altezza e 340 cm. di max lunghezza.
L’officina Tamborra si mobilita e realizza nella Rua il modello in polistirolo tornito, in scala 1/1. Sembrava cosa semplice, fare la “Sinapsi” d’America. Invece no. Ci sono sempre sorprese, ma questo è un bene. Il rapporto con gli artisti incentiva sempre l’artefice, lo costringe indirettamente alla sperimentazione. Lo spinge all’innovazione, a trovare nuove soluzioni. L’arte spinge l’industria e l’industrioso artefice.
Sandro Mendini in persona vola giù a Napoli. In officina, dal Tamborra sempre più tamborriato e gasato. Vede il modello in scala 1/1. L’approva, lo prova e lo riprova. Tutto O.K., ma … ma un momento, fermi tutti! La “Sinapsi” non si mantiene in equilibrio, tuculeja (traballa, ndt). Così come è stata progettata ha il problema del baricentro sballato. S’abbocca da un lato. Come s’adda ffà? No problem con la ditta Tamborra, doc doc. Che fa la fusione di alluminio “a spessore variabile”, ad hoc. Urge però uno strutturista per i calcoli e calcoletti biliari. “Magico ingegnere”, garantisce Corrado. Si fanno i conti, i canti: tutto quadra a perfezione, si opera. Vai Corrado, vai artigiano napolitano!! Il modello di polistirolo viene scavato opportunamente per consentire la “fusione a terra”. Per aggregare le singole parti della Sinapsi s’inventa poi una lavorazione meccanica molto complessa e delicata. Alla fine il problema era come rendere lucida la Sinapsi: l’alluminio non può essere spazzolato. “Dovevo trovare una sostanza chimica che mi consentisse di dare un effetto cromo per uniformare il tutto. E il tutto sotto la direzione dell’Ufficio tecnico Metropolitana Spa”, chiosa e chiude Corrado. Complessivamente un anno e due mesi di lavoro materiale dell’officina, tra modello e fusione. “Mentalmente di più”. Peso finale della scultura Sinapsi: 950 kg., buon peso!
Domando indiscreto: “Ma l’artista l’ha mai vista, … la sua Sinapsi realizzata?”. Risposta: “No, mai sentito, mai visto….. L’ho visto però all’inaugurazione della stazione Università, lo scorso 26 marzo”. “Ma allora è venuto”, replico. “… fammi completare: l’ho visto in collegamento d’arte con New York, … in una video-conferenza con l’artista. Che spiegò l’opera a distanza”. “E tu artigiano hai parlato?”. “No, ma c’è una bella rassegna stampa dove compare sempre il mio nome di realizzatore, come da apposito contratto …”. Me la fa vedere soddisfatto, la rassegna stampa, Corrado. La sfoglio, la foglio, la figlio, gli domando: “Ma poi l‘hai mai visto, l’artista?” Risposta: “Ero curioso di conoscerlo. Per vederlo sono andato io a New York”. “Fermati, è il titolo del film: un artigiano napoletano a New York!, che dici?”.
Sorride, continua deciso: “Telefonai a Rashid dall’aeroporto, mi ricevete gentile. Prima la sua segretaria, un’orientale, parlava perfettamente l’italiano, .. poi lui in persona, Karim Rashid, che emozione d’arte….” Disse che gli era piaciuta molto, la sua Sinapsi metropolitana. Che il Tamborra artigiano napolitano poteva essere “persona con la quale poter colloquiare ancora”. Esattamente: “Potrebbe essere il coordinatore per un’altra nostra realizzazione”, sentenziò l’artista rivolto alla sua segretaria. Che annuì complice. E’ arte impresa, l’artista imprenditore, talvolta prenditore. Sorrisi, complimenti: “Ciao, ciao, mister Tamborra, ci vediamo a Milano, alla mia retrospettiva alla Triennale. Al fuori salone del mobile!”, gli disse Rashid. “E ci sei andato, fuori al Salone di Milano-mobili?”, domando mentre ci avviamo fuori dal bar dell’Arte. “No”, mi risponde Corrado, “tenevo da fare in officina, io so’ artigiano, mica artista!!”. Alla prossima, amici miei. Altro giro, altra corsa applicata!” Saluti, Eldorado